Kozmic Blues in Grandi Langhe

Rieccomi amici Wine&Music Lovers!

non mi sono dimenticata di raccontarvi le mie degustazioni …..Lo so ho tardato un po’ a farmi risentire, ma solo perché attendevo la mia “prima” a Grandi Langhe,  l’ appuntamento che apre le danze alle tante anteprime del vino in Italia.

Ebbene quel giorno è arrivato, appena trascorso, lunedì 27 gennaio.

Grandi Langhe event 2020

Ph. credit. Mariani

Un signor evento come dice il nome, organizzato dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e le aziende vitivinicole di Langhe e Roero, che nella capitale del vino Alba, hanno fatto scoprire le loro DOC e DOCG

L’occasione per degustare le nuove annate Barolo2016 Barbaresco 2017 e Roero 2017 e le tante altre denominazioni di Langhe e Roero ed io ho assaggiato davvero molto

Barolo DOCG: il re delle Langhe, da uve nebbiolo in purezza un vino rosso granato, complesso e strutturato, longevo imbottigliato rigorosamente nella tipica bottiglia Albeisa

Barbaresco DOCG : altro vino nobile , di un rosso che va da dal rubino al granato ,anch’esso complesso strutturato longevo sempre  da uve nebbiolo 100%

Il Roero DOCG , dalla terra alla sinistra del fiume Tanaro che dà il nome al suo vino in versione rossa da uve nebbiolo per almeno un minimo 95% , rosso rubino intenso con struttura meno impegnativa dei precedenti ma comunque un gran vino

Sempre dallo stesso vitigno Nebbiolo d’Alba DOC e Langhe Nebbiolo DOC, prodotti sia a destra che a sinistra del Tanaro

Ma non sono nebbiolo anche vini da uve dolcetto, nelle denominazioni Dolcetto di Diano d’Alba DOCG nelle Dogliani DOCG e Dolcetto d’Alba DOC; dei bei rossi rubino intenso, profumi intensi e retrogusto finale di mandorla

Ancora rossi come la Barbera d’Alba DOC, rosso rubino con riflessi purpurei, profumi fruttati speziati corposa e fresca

poi tanti altri vini ragazzi anche bianchi ma una giornata non basta!

tutto ciò che vi ho descritto resta comunque molto generico, sono caratteristiche che accomunano una tipologia di vino, pensate che addirittura vini della medesima denominazione, prodotti in comuni vicini, hanno caratteristiche organolettiche capaci di contraddistinguere la località da cui provengono!

questa manifestazione è stata per me la testimonianza di un territorio vitivinicolo unico, capace di rispecchiare ciò che l’UNESCO ha dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità ( Langhe-Roero e Monferrato).

 

Vista la giornata di grandi eccellenze, voglio far passare su questo red carpet una delle più belle voci femminili del classic rock, fonte di ispirazione delle più recenti Amy Winehouse e Lady Gaga: la regina del rock blues del periodo hippy, delle contestazioni, della poesia beat; la voce del peace&love, la donna sempre in fuga: Ms Janis Joplin.

Una voce davvero unica, inconfondibile. Un’anima blues che si fa bianca e poi nera, piena di rabbia e traboccante di emozioni a tal punto da lasciare senza fiato chi si mette all’ascolto.

Vi invito ad accettare il mio consiglio e a farlo proprio in questo momento!

Tra i vari capolavori della cantante texana, il brano che oggi ho scelto per voi è tratto dall’ album I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama del 1969 ed è appunto la canzone che dà il titolo all’album stesso: sto parlando della struggente Kozmic blues.

Kozmic blues è una delle performance più emozionanti e orchestrate eseguita da Janis a Woodstock del 1969.

Definita da molti il  testamento della cantante di Port Arthur, Kozmic blues è comunque una canzone di speranza, di voglia di vivere intensamente nonostante tutto. Nonostante le Illusioni e i sogni che svaniscono, Janis invita a continuare ad andare avanti, a cercare di afferrare questo sogno e farlo diventare in qualche modo realtà:

Time keeps moving on
Friends they turn away
I keep moving’ on
But I never found out why
I keep pushing so hard the dream
I keep trying’ to make it right

 

Con una voce così non c’è molto da aggiungere perché è davvero in grado di dirvi e darvi tutto: il messaggio in bottiglia di oggi è Grandi Langhe in Kozmic Blues!

 Links:

Grandi Langhe web site

Message in a bottle Spotify Playlist

Kozmic Blues Woodstock 1969 live

 

Santa Claus in Asprinio di Aversa

Il momento più ricco di festività è arrivato, con la corsa ai regali, la voglia di abbuffate, la miriade di consigli  sul come addobbare la casa, la tavola, arricchire i nostri piatti dall’antipasto al dolce; ovunque si leggono ricette ma la proposta di un ristorante di Napoli che “sforna” un pandoro di mozzarella di bufala non me la sarei mai aspettata…. Beh il pandoro lo preferisco tradizionale , cosi come la mozzarella …e dato che è quasi ora di pranzo, la mozzarella di bufala ce l’ho, ah ah ah sapete benissimo che le mie papille gustative chiedono un perfetto abbinamento enologico , ed è l’occasione giusta per bere un Asprinio, un vino ottenuto dall’omonimo vitigno, il cui nome è legato alla sensazione gustativa data dal vino che si ottiene; la zona vocata per questa DOC campana è Aversa, in provincia di Caserta,  a nord di Napoli qui la vite è coltivata ad alberata, ovvero con la pianta abbinata a tutori vivi (altre piante come ad esempio olmi o pioppi) formando una vera e propria barriera vegetale che può arrivare anche a 20 metri di altezza; un antico sistema che consentiva di lasciare libero il terreno per altre coltivazioni. Bene ora lo verso, altrimenti si scalda !

Nel calice è cristallino, molto trasparente e di un giallo paglierino intenso; un giro nel calice lo svela poco denso, intenso al naso con sentori di gelsomino, banana, ananas, mela e tanti agrumi, con in chiusura sfumature minerali in perfetta corrispondenza al naso, il sorso è morbido, secco, sapido e di una freschezza tale da ripulire perfettamente la bocca dalle note grasse della mozzarella di bufala un ottimo abbinamento territoriale , un vino da provare, ancora meglio seduti vicino ad un albero di limoni con il mare di fronte … se siete in ritardo con i regali, potrebbe essere un valido suggerimento la location che vi ho proposto o la bottiglia che ora vi svelo nel dettaglio:

ASPRINIO DI AVERSA DOC, VITE MARITATA, CANTINA I BORBONI , VENDEMMIA 2018, 12% VOLUME IN ALCOL

Ciao Enomusicanti Simona ha proprio ragione… sono giorni di festa, di eccessi, di buon cibo e tanto vino in musica! Per voi ho scelto un classicone della tradizione natalizia che non ha veramente bisogno di presentazioni; la Campania e Aversa mi hanno fatto optare per un pezzo dal ritmo acceso che mette allegria e al tempo stesso tiene alla tradizione: Santa Claus is coming to Town.

Pezzo statunitense scritto negli anni 30 da Haven Gillespie e J.Fred Coots, è stato interpretato da grandi mostri della musica mondiale ma per la nostra degustazione sonora di oggi non lo facciamo cantare a Ms Mariah Carey, né a Bruce Springsteen o Justin Bieber. Mettetevi comodi e ora godiamoci questo pezzo nella versione nostrana e new-soul  di Mister Mario Biondi che nel 2014 la include nella sua rivisitazione jazz blues dei pezzi classici della tradizione natalizia. L’album si chiama A very Special Mario Christmas che arricchisce il già disco di platino Mario Christmas dell’anno precedente. Il mio consiglio è di farlo vibrare  durante le feste perché vi farà davvero vivere la magia del natale.

a-very-special-mario-christmas

 

Se il Natale ha una voce, ha il suono caldo delle corde vocali di Mario Biondi, cantante, arrangiatore e compositore catanese. La sua voce è avvolgente, un timbro inconfondibile con un sound che è tutta una festa.

Il classico pezzo della tradizione americana viene riproposto in un’interpretazione rhythm and blues: cori e fiati vi stanno mettendo in guardia: Babbo Natale è in arrivo in città e sta ricontrollando sulla sua lista chi è stato bravo e chi cattivo. Il natale visto con gli occhi dei bambini. Questo è il nostro augurio per voi in questo periodo di feste.

Il messaggio natalizio di oggi è Santa Claus is coming to town in una bottiglia di Asprinio di Aversa.

links:

Azienda vinicola I Borboni web site

Mario Biondi web site

Spotify Playlist

 

 

 

DiscoLabirinto in Derthona 2012

Cari amici Wine&Music lovers devo confessarvi che la stagione fredda che ci accingiamo a trascorrere non è la mia preferita!

Una cosa però mi piace fare in questo periodo, stare in compagnia, davanti al camino, con un bel calice di vino in mano.

Cosi ho fatto quando Jessica è venuta a trovarmi, e in occasione ho stappato una bella bottiglia di vino della sua regione Piemonte, terra di grandi rossi e di un gran vino bianco, di forte personalità, tra i maggiori esponenti di questa generosa zona d’Italia:

il Timorasso, nello specifico il Derthona, DOC Colli Tortonesi, Sterpi, del 2012, 14 % volume in alcol della cantina Vigneti Massa (sita a Monleale, vicino a Tortona in provincia di Alessandria).

IMG_1642 (002)

credit pic: Simona Mariani

Un vitigno autoctono a bacca bianca, il Timorasso, che dopo esser stato per molto tempo tra i più coltivati, dopo la seconda guerra mondiale, causa l’abbandono delle campagne e la maggior resa di altri vitigni, ha rischiato di scomparire

La sua rinascita, negli anni ’80, si deve all’intuizione di Walter Massa il padre e il pioniere del Timorasso dei Colli Tortonesi, che  è riuscito a cambiare, ricostruire e rilanciare con successo il volto enologico di un intero territorio, quello dei Colli Tortonesi, ovvero di quel piccolo lembo di terra piemontese incastonato tra il Monferrato e l’Oltrepò, investendo fortemente su questo vitigno,  intuendone le grandi potenzialità di dare alla luce vini emozionanti e di straordinaria longevità, perché questo vino non teme il passare del tempo, anzi ne giova.

Ed è cosi che ci riempie il calice sfoggiando un giallo dorato, visibilmente consistente alla mescita, con un naso intenso, complesso che svela subito un sentore di idrocarburo, di gasolio, ma poi dopo qualche giro nel bicchiere svela la piacevolezza della mela, degli agrumi tra cui domina il pompelmo giallo maturo, e poi ancora zafferano, miele, incenso.

Un assaggio di corpo, secco, abbastanza caldo, morbido, fresco, sapido con richiami minerali e cerosi, maturo.

Chiude con un ‘ottima persistenza e invoglia alla beva del calice successivo, tanto da non aver neanche il tempo di pensare a quale cibo abbinarlo!

E’ proprio valsa la pena attendere qualche anno per degustarlo.

Ah il tutto con un ottimo sottofondo musicale e tante chiacchiere!

Creatività, poca convenzionalità e  una personalità dirompente, ecco le parole chiave che uniscono il vino di oggi alla scelta musicale.

Mettetevi seduti comodi e preparatevi ad accogliere uno dei gruppi alternative più popolari in Italia, i piemontesissimi Subsonica: potente mix di musica elettronica che poggia su una solida base rock aperta alle più svariate influenze sonore.

Dagli anni 90 ad oggi ci sarebbe l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda il loro fortunato repertorio ma sono una nostalgica e fan dell’album capolavoro che forse riesce una sola volta nella vita ed è frutto di un’epoca unica che ho vissuto. Periodo pieno di aspettative e sogni che stava per dare il benvenuto al nuovo millennio, quindi per questa occasione ho scelto un esperimento sensoriale dance (li coinvolgiamo tutti questi sensi, o no??) che s’intitola DiscoLabirinto tratto dal loro secondo album Microchip Emozionale del 1999.Subsonica_1999_Microchip-Emozionale.jpg

Frutto della collaborazione con Morgan e i Bluvertigo, Discolabirinto si basa sul suo videoclip che è parte fondamentale e integrante del pezzo e ha come obiettivo quello di trasformare i suoni in luci e immagini in modo da renderlo accessibile anche ai non udenti.

Non è la semplice traduzione nel linguaggio dei segni ma un esperimento sensoriale a cui tutti possono avvicinarsi a ZEROVOLUME.

Il videoclip girato da Luca Pastore in un capannone industriale racconta il tentativo di costruire una macchina di comunicazione che possa trasformare i suoni in vibrazioni luminose, una scultura comunicativa che vuole infrangere i limiti che fanno parte di noi e le barriere verso l’altro.

Discolabirinto è una prova ambiziosa e sperimentale, un viaggio ipnotico dove i piani di comunicazione cercano di creare delle sinergie a volte usando anche delle contrapposizioni come nel testo originale:

Vorrei una discoteca labirinto
Bianca senza luci colorate
Grande un centinaio di chilometri
Dalla quale non si possa uscire

Che sembra voler dire esattamente l’opposto di quello che viene tradotto nel linguaggio dei segni:

Vorrei una discoteca senza suoni
Solo vibrazioni colorate
Con segnali elettrici e vocaboli
Nella quale non si debba udire

 Non so voi ma a me è venuta voglia di ballare in una Discoteca Labirinto con in mano un calice di Derthona 2012!

 

Vigneti Massa

Subsonica homepage

Discolabirinto videoclip

Spotify playlist

 

Society in Nino Negri Wine

Cari amici Wine&Music lovers, la vendemmia non è conclusa ovunque!

Sabato scorso (12 ottobre 2019) sono stata in Valtellina, a Chiuro in provincia di Sondrio, dove la vendemmia era in piena attività.

Quello della Valtellina è un territorio molto particolare, dove ammirare muretti a secco che creano vigneti terrazzati, con pendenze vertiginose, dove la viticoltura di montagna è eroica!

Una valle orientata da est a ovest, lungo il corso del fiume Adda, ben assolata e con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte.

il versante destro di questo corso è “riservato” all’allevamento del Nebbiolo (qui chiamato Chiavennasca), un vitigno il cui nome fa riferimento all’abbondante pruina che riveste la sua buccia o riferito alla sua maturazione tardiva, quando le nebbie cominciano a far capolino.

E ‘andando in visita alla cantina Nino Negri che ho scoperto questo territorio, bello ma difficile e il suo stretto legame col Nebbiolo, suo vero protagonista!

IMG_1363

ph credit: Simona Mariani

La casa vinicola che ha sede in un castello risalente al Quattrocento, fu fondata nel 1897 da Nino Negri e dopo circa trentanni il figlio Carlo intraprese la strada per la crescita qualitativa dei vini prodotti, gettando le basi per i grandi successi ottenuti in seguito;

 

 

oggi la cantina, non più proprietà di famiglia, produce 800mila bottiglie anno, vini che mantengono la loro anima come quelli che ho degustato: tre magnifici Valtellina superiore DOCG e in chiusura uno Sfursat di Valtellina DOCG. Per l’esattezza:

IMG_1375

Ph. credit: Simona Mariani

LA TENSE Valtellina superiore DOCG sottozona Sassella

SASSOROSSO Valtellina superiore DOCG sottozona Grumello

INFERNO CARLO NEGRI Valtellina superiore DOCG sottozona Inferno

SFURSAT CARLO NEGRI  SFORZATO DI VALTELLINA DOCG

Tutti vendemmia 2016

Una Chiavennasca luminosa ed elegante in ogni calice di Valtellina Superiore DOCG degustato; rossi poco intensi nel colore, fini, giovani che esprimono il vitigno e il territorio, ottenuti da uve cresciute sulla roccia che è un mosaico di granito, scisto e gres più ‘sabbia delle Alpi “trascinata del fiume.

Un’identità mantenuta anche durante l’affinamento, per ritrovare quell’uva cresciuta su quella pietra in quella sottozona, utilizzando un “legno di precisione” (in fase di creazione della botte, mediante una analisi agli infrarossi, al legno viene assegnata una categoria aromatica).

Cosi l’inferno, le cui uve sono” speziate”, affinerà in legno speziato mentre il sassella, in legno dolce.

IMG_1367

ph credit: Simona Mariani

L’ultimo calice è dedicato allo Sforzato, il vino della tradizione, ottenuto da grappoli selezionati in diverse vigne, per dimensione, non più grandi di una mano, quasi spargoli affinché’ tra gli acini non si formino muffe, fatti appassire in fruttaio per circa 100 giorni e poi vinificati con un lunga macerazione ; dopo breve sosta in acciaio affina in botti grandi…. Il mio preferito!

Una interessante degustazione accompagnata da bresaola e formaggi della Valtellina!

La scoperta di una cantina storica ma innovativa e dei Nebbioli o delle Chiavennasche che rappresentano longevità, eleganza e capacità di mutare nel tempo mentendosi fedeli al territorio e alle tradizioni.

Le parole di Simona sulla Valtellina e sulla viticultura complessa ma così attenta a conservare la qualità e l’originalità della sua terra ha ispirato Il brano che ho scelto per voi oggi: un capolavoro del front-man della band Seattle sound/alternative rock Pearl Jam, il cantante e chitarrista Mr Eddie Vedder.

Un lento e caldo inizio ci introduce alla canzone ‘Society’ scritta nel 2007 per Sean Penn e colonna sonora di quel meraviglioso lavoro cinematografico intitolato ‘Into the Wild’.

into_the_wild

Il brano ha mille colori e sfumature, una fusione armoniosa di musica e immagini, ma in questa occasione voglio semplicemente lasciarvi in compagnia di Alexander Supertrump che intraprende un lungo viaggio alla ricerca di sé stesso fino alle terre selvagge dell’Alaska. Vedder parla dei dubbi che soffocano lui e il protagonista, di questa pazza società la cui avidità è accettata ormai da tutti e confusa per un bisogno. Tutti vogliono tutto:

When you want more than you have
You think you need
And when you think more than you want
Your thoughts begin to bleed

Svestiti e liberati dalle costrizioni e costruzioni della società, dagli schemi predefiniti che soffocano la nostra libertà e creatività, lasciamoci trasportare dalla voce baritonale quasi primordiale di Vedder e dalle note profonde che ci liberano e portano verso spazi più ampi.

artworks-000095318922-hc5xcu-t500x500

Ma facciamo tesoro del messaggio finale della pellicola di Pean e nell’allontanarci da tutto non dimentichiamo che:

‘Happiness only real when shared’

Quindi condividiamo le nostre emozioni, le nostre peculiarità con l’altro, perché proprio in quel preciso istante possiamo incontrare anche solo per un breve istante la felicità autentica.

Il vino è espressione di condivisione e sulle note di Society vi invito a liberare tutti i sensi per un comune e condiviso momento di felicità.

Il messaggio in bottiglia di oggi è Society in una bottiglia di Nino Negri.

links:

Nino Negri website

Spotify playlist Message in a Bottle

Society – Edddie Vedder

 

I Will Wait in Grangia

Ciao Wine&Music lovers, eccoci al secondo appuntamento del nostro blog “Message in a Bottle” e torniamo nel momento più bello dell’anno: la vendemmia.

Come potete immaginare Simona è in totale fermento quindi rompo subito i neo-nati schemi e vi metto un bel disco che fa da colonna sonora all’aria di festa e tradizioni che si respira in questi giorni.

Il brano di oggi è I Will Wait della band inglese folk-rock Mumford and Sons.

Mumford-Sons-Babel-Artwork-medium

 

Il pezzo è contenuto nel loro secondo album Babel del 2012 ed è uno dei brani di maggior successo del gruppo capitanato da Marcus Mamford.

Il banjo è il vero protagonista, la musica ritmata e semplice si mischia al tema dell’attesa che arriva potente in tutte le sue interpretazioni.

 

 

Anche se l’amore per l’altro o per Dio sono tra le possibili definizioni, mi piace pensare come questa attesa che raccoglie il momento delle fatiche, degli sforzi, del mettere tutto se stessi in qualcosa, verrà prima poi premiato con un bel raccolto e ci renderà persone nuove:

So I’ll be bold

As well as strong

And use my head alongside my heart

Ho scelto i Mumford and Sons per quel senso di semplicità ma allo stesso tempo di genuinità che ispirano, spesso questa loro caratteristica è motivo di critica musicale ma il giudice supremo resta sempre e comunque il pubblico che ama il loro essere dei ragazzi che suonano la chitarra nei campi, che bevono birra e danno il meglio di loro stessi dal vivo, facendo letteralmente saltare e divertire il loro pubblico.

 

Rieccomi cari wine lovers!

siamo solamente al secondo incontro ma non posso più trattenermi, voglio raccontarvi delle meraviglie dell’Oltrepò Pavese, regione vitivinicola che ha fatto di me un’amante del vino

E’ la domenica di cantine aperte in vendemmia e la trascorro alla Tenuta Montelio a Codevilla, ai piedi delle prime colline a sud di Voghera.

 

Mi trovo in quella che era la sede della grangia del monastero di San Senatore dove già nel 1200 si coltivava la vite; all’ingresso della corte lo sguardo è rapito da un grande torchio e durante la visita nella cantina che risale al ‘600 si scopre il luogo piu’ affascinante, l’Infernot, vecchia ghiacciaia usata dalle monache, a pianta ottagonale, dove ora sono custodite le bottiglie della riserva privata della famiglia.

torchio

Photo Credit: Simona Mariani

Proseguo tra i vigneti e gli occhi sono nuovamente catturati da un casotto esagonale che svetta sul cucuzzolo della collina, è il Montelio, ovvero il “monte del sole”, luogo assolato nell’arco di tutta la giornata, simbolo e nome dell’azienda.

montelio

Photo Credit: Simona Mariani

E’ una giornata di festa, ci sono tanti bambini, venuti a vendemmiare e pigiare l’uva raccolta  …..è bello vedere come si divertono!

Rientro nella corte, c’è tanta gente che partecipa al pranzo della vendemmia e alla degustazione di spumanti, vini bianchi, rossi e passito, tanti già conosciuti e qualche novità.

 

Tra tutto quello che ha deliziato i miei sensi, voglio raccontarvi del vino icona dell’Oltrepò Pavese:

la GRANGIA cosi è chiamata la Bonarda frizzante dell’Oltrepò Pavese doc della Tenuta Montelio.

Un vino rosso frizzante da uve croatina in purezza, prodotto secondo il regolamento del Distretto di Qualità dei Vini dell’Oltrepò Pavese, più restrittivo del disciplinare consortile, imbottigliato nella Marasca, nome dato alla sua particolare bottiglia dal design subito riconoscibile

Una bella spuma con riflessi porpora appena versato nel calice, rosso rubino intenso con riflessi violacei.

Un naso intenso, marasche innanzitutto, poi spezie, in particolare il pepe e un sentore di viola.

In bocca è di corpo, ha buona freschezza e una bella tannicità che chiude il sorso; un vino equilibrato, 13 % volume in alcol, che si sposa perfettamente con salumi e formaggi; è cosi che lo degusto e rivivo le vecchie merende domenicali dai nonni da piccola, dove però il vino non me lo facevano bere! 😊

IMG_1244

Photo Credit: Simona Mariani

 

Alla tenuta Montelio fondata nella metà dell’800 dall’ingegnere Domenico Mazza , oggi ci sono le sorelle Caterina e Giovanna Brazzola che con la collaborazione dei figli gestiscono le attività della cantina.

La storia, il calore e l’impegno di questa famiglia sono gli ingredienti segreti per ottenere i loro grandi vini

Con questo racconto veloce, di un affascinante cantina che vi invito a visitare, vi saluto e il Messaggio di oggi è: I Will Wait dei Mumford and Sons in una bottiglia di Grangia.

 

links:

I will Wait – Mumford and Sons

Message in a Bottle Spotify playlist

Montelio website

 

 

 

 

 

sardegna nuraghi - ph. credit Simona Mariani

Hotel Supramonte in Barrua 2014

Ciao a tutti Wine&Music lover!

Inauguriamo il nostro blog con il primo articolo di una serie che speriamo non finisca mai perché vorrà dire che saremo ancora dominate dalle nostre grandi passioni e ispirazioni.

La nostra idea è quella di postare almeno un articolo ogni 15 giorni e rendervi partecipi di quelle occasioni in cui la degustazione, la cantina, la vigna ci regalano particolari sensazioni ed emozioni. Sceglieremo solo quello che ci fa battere forte il cuore!

Se siete pronti passo la parola a Simona:

Eccomi finalmente! Ho pensato e ripensato a quale vino degustare per poterlo raccontare al nostro esordio sul web… ed è cosi che ci troviamo a fare un aperitivo al bar che ogni tanto frequento e caso vuole è ancora lì, quell’etichetta che mi guarda da tempo (in verità io la guardo da tempo!) ……ecco stavolta mi ha proprio urlato: “prendimiiiii”!

E così ho fatto, afferrata la bottiglia, letto la retroetichetta, scoperto di che si tratta:

“BARRUA”

ISOLA DEI NURAGHI ROSSO IGT 2014

IMBOTTIGLIATO DA AGRICOLA PUNICA SPA , SANTADI ( in Sardegna!!!!)

barrua pic

Rientrata da poco dalla vacanza in Sardegna, decido di rivivere questa terra meravigliosa con una degustazione.

Un vino che mi affascina già alla mescita, denso, che riempie il calice di un rosso rubino intenso con un accenno granato sull’unghia.

Decisamente intenso, il naso si inebria subito di amarene mature e vaniglia, e dopo qualche giro nel bicchiere un’esplosione di tabacco dolce, cacao, e macchia mediterranea.

Una complessità che mi invoglia subito alla beva, un sorso caldo e rotondo, una buona freschezza , pepe nero, liquirizia e in chiusura  un tannino fine ed elegante e una buona persistenza.

Un vino equilibrato e longevo.

Una grande scoperta “ BARRUA”  85 % carignano e 15 % vitigni francesi cabernet sauvignon e merlot.

Peccato non aver avuto a disposizione un bel piatto di formaggi sardi stagionati, sarebbe stato un abbinamento perfetto!

Io vi saluto e vi invito al prossimo Message in a Bottle! A te Jessica:

Brava Simona, la tua guida nella degustazione è stata davvero preziosa e acuisce i miei sensi che si instradano e avvinghiano ai profumi della macchia mediterranea e delle sue piante aromatiche …e mi portano nella calda e selvaggia Sardegna, quella fatta di affascinanti contrapposizioni, di mari cristallini e di voragini e gole profonde sugli altipiani. Per me è inevitabile, i miei sensi mi conducono a “Hotel Supramonte” di Fabrizio De André che è stato figlio adottivo della Sardegna, una terra che l’ha chiamato così forte da non potersene più staccare nonostante tutto.

Hotel Supramonte fa parte dell’album intitolato semplicemente Fabrizio De André del 1981 e chiamato da tutti  “L’indiano” per l’immagine riprodotta sulla copertina.

1981_LINDIANO_a1

Il brano Hotel Supramonte non è solo la ‘lettera vera’ della sua prigionia ma è un momento intimo e profondo che Faber ci ha regalato. La malinconia, la paura e la rabbia sono cullate da questa specie di ninna nanna che non indietreggia davanti alla vita ma la consola nei momenti più difficili. È un canto d’amore per la sua amata, per la Sardegna e per la vita stessa.

Vi invito ad ascoltarla, ad afferrare la mano tesa di Faber che perdona e chiede perdono. La dolcezza e delicatezza delle sue parole accendono il sentimento di speranza e un senso di serenità ci investe con la promessa che tutto andrà bene.

Il nostro messaggio di oggi è Hotel Supramonte di Fabrizio De André in una bottiglia di Barrua 2014.

links:

Hotel Supramonte Live – Fabrizio De Andrè 1981

Agricola Punica website

Message in a Bottle – Spotify playlist

 

Message in a Bottle

via Message in a Bottle

E’ online la nuova pagina “Message in a Bottle”, volete sapere di che cosa si tratta? cliccate dal menù la sezione dedicata.

Eccoci…. prima o poi doveva succedere! Scrivendo di passioni nelle sue forme più svariate, dalla musica alla letteratura, dal design all’arte più sorprendente che è la Natura, ero certa che prima o poi sarei giunta a lui: il vino.

Scrivo di tutto quello che ispira la mia vita e il magico mondo delle vigne ha il potere di azionare quegli interruttori che letteralmente mi sganciano dalla realtà e mi portano altrove. Il vino fa rivivere delle sensazioni, a volte ne dà di nuove; insomma il vino non fa solo cantare ma anche sognare. Da music-addicted mi sono accorta che il vino come la musica ha lo stesso identico effetto su di me e questo aspetto ha attirato la mia attenzione e curiosità.

Ho avuto la fortuna di avere tra le mie amicizie, intenditori, vignaioli, sommelier che mi hanno accompagnata per mano in questo mondo per me assolutamente nuovo e tutto da scoprire.

Da qui l’idea di scrivere a quattro mani questa sezione del mio blog che vuole miscelare il vino alla musica per riportare a voi lettori un’interpretazione personale della nostra esperienza sensoriale.SimonaMarianiPic1

Per essere certa di andare nella direzione giusta, ho chiesto aiuto ad una cara amica e giovane sommelier FISAR che fa parte della delegazione di Pavia dal 2018: Simona Mariani.

Si è vero è ufficialmente sommelier da poco più di un anno ma sembra nata per degustare, suggerire e presentare vini. Si è classificata terza alla selezione Concorso Miglior Sommelier FISAR dell’anno area Nord-Ovest d’Italia ed è posseduta dal Sacro fuoco del Vino.

In questa sezione vi parleremo delle nostre degustazioni, delle cantine che andremo a visitare e proveremo a raccontarvi il nostro “Message in a Bottle” ossia proveremo a coniugare un’analisi puntuale del vino con i sentimenti musicali e non solo che questo tasting scatena.

Il risultato sarà certamente qualcosa di personale come è giusto che sia: uno dei messaggi delle “a hundred billion bottles washed up on the shore” cantato dai The Police. Noi non vediamo l’ora di cominciare questa avventura insieme.Che ne dite di unirvi a noi? Stay tuned e commentate liberamente i nostri post. Siamo curiose di conoscere anche i vostri Messaggi in bottiglia.

Simona e Jessica

IMG_E4297

 

 

NO SUNRISE NO SUNSET

L’eterna attesa di Yai Sa

A piedi nudi sul bordo del mondo, l’anziana Yai Sa è in attesa del suo unico e grande amore, partito per il suo ultimo viaggio in cerca della verità con la promessa di tornare da lei quando l’avrà finalmente trovata. Questo è il racconto del premiato lavoro architettonico dello studio thailandese Wallasia (www.walllasia.com), una collaborazione tra l’artista Kamin Lertchaiprasert e l’architetto Suriya  Umpansiriratana premiato alla biennale Thailandese di Krabi 2018. L’architettura qui va oltre la semplice esigenza di sopravvivenza e si fa portavoce del sentimento umano più forte: l’amore.

66284326_2156212521168045_6346942407619117056_n

L’opera intitolata No Sunrise No Sunset Pavilion è appunto un Padiglione minimalista e contemporaneo con una struttura in acciaio e completamente specchiata. L’installazione è accessibile a tutti i visitatori senza alcuna limitazione ed è arroccata su un’insenatura rocciosa, in una zona tranquilla e poco frequentata lungo la spiaggia di Ao Nang Beach, nella provincia di Krabi.

14

Sulle facciate dell’installazione si riflette il suggestivo ambiente circostante: il mare che guarda verso le Andamane, la foresta, gli alberi, le rocce e il cielo: una fusione completa con lo spazio e l’ambiente circostante.

66323337_2156212237834740_909072868065673216_n

L’interno è ispirato alle grotte preistoriche di Krabi e alle pitture rupestri che richiamano le attività originarie dell’uomo, al centro la statua di Yai Sa, l’anziana donna che ogni giorno si pone nello stesso punto in attesa del suo amore. Qui il tempo si ferma, l’amore è in continua attesa perché chi ama lo fa per sempre. Lui è in cerca della verità ultima, ma dove si trova? Che cos’è? È forse già dentro di lui? Una cosa è certa finché lui non avrà trovato sé stesso non si potrà fondere con Yai Sa.

09

Il mondo reale e il mondo dell’illusione sembrano incontrarsi qui, l’esterno (oggettivo) e l’interno (soggettivo) sono in connessione, Yai Sa è sempre presente ogni giorno e rinuncia a sé stessa nella speranza di unirsi prima o poi al suo amato.

Il sole è fermo, non si alza e non tramonta nel cielo – No Sunrise, No Sunset; è la terra che gira e prende la forma di quel che noi vogliamo vedere. Quando saremo in grado di vedere il mondo così come è veramente, allora riusciremo a vederne la sua bellezza e la verità della sua natura.

Lertchaiprasert e Umpansiriratana, mossi da questa aspirazione, hanno creato un luogo di pace e tranquillità, dove potersi unire con la bellezza della natura e con sé stessi. La “grotta” di No Sunset No Rise è il luogo ideale dove mettersi in attesa, guardando con occhi nuovi la vita, animati dalla speranza che il grande amore raggiunga quel posto sospeso nel tempo e nello spazio e finalmente- nel ritrovare se stesso -si possa fondere con l’altro per sempre.

10

artists

lameladierva

Perchè Kurt Cobain non morirà mai?

 

kurt-cobain-singolo-sappy-solista

Ve ne siete accorti che nonostante il passare degli anni è sempre più vivo che mai? Ma perché? Me lo sono chiesta molte volte e trovo sempre una spiegazione diversa che non mi accontenta del tutto. Rocker maledetto, club dei 27, morte suicida, Courtney e il presunto omicidio … a dir la verità vorrei lasciare da parte tutti questi aspetti e cercare una nuova strada che dia più spazio alla sua musica, ai suoi testi senza troppe radiografie e al suo modo di vivere e vedere la vita. Non sarà proprio una strada dritta e semplice, sarà facile smarrirsi o fermarsi in vicoli ciechi ma sono una di quelle persone che crede valga la pena perdersi ogni tanto.

Kurt Cobain, anima dei Nirvana si è ucciso ormai da 25 anni eppure è sempre presente con la sua storia, con la sua musica e con tutto quello che ha rappresentato per una generazione come la mia. Ma la sua musica è andata oltre e ha ispirato anche le generazioni successive, quelle che non l’hanno mai incontrato ma che ne hanno percepito il suo potere e ne sono rimasti stregati.

Ho letto parte dei suoi diari “Journals” edito da Mondadori ma non sono arrivata in fondo: troppa sofferenza per la sottoscritta e continuare la lettura mi dava come l’impressione di fargli male un’altra volta. Una vita consumata e svuotata come quella di centinaia di altri giovani delle periferie di Seattle ma la sua fragilità messa in musica e parole lo hanno reso un’icona intramontabile del rock e forse più semplicemente un portatore di verità. Pensandoci bene credo di aver sbagliato a fermarmi a metà dei suoi pensieri, forse merita di essere ascoltato fino in fondo, anche quando inizia a fare male, a stare scomodo e a vomitare in faccia la realtà di ieri che non è altro che una profezia inclemente del nostro presente.

Quindi voglio dare ascolto al suo incipit: “Non leggere il mio diario quando non ci sono. OK, adesso vado a lavorare. Quando ti svegli stamattina, leggi pure il mio diario. Fruga tra le mie cose e scopri come sono fatto”.

Questo aspetto lo rende probabilmente immortale: la sua capacità unica di dire la verità, nuda e cruda, senza fronzoli, senza abbellimenti e mezze misure. Fa male la sua malinconia, la sua rabbia, la sua disperazione e peggio la sua apatia ma è senza dubbio una testimonianza di verità che alla fine libera e rende liberi.

Senza pretese alcune di critica musicale, vi invito a fare un breve viaggio nella sua musica da semplici fan dei Nirvana; nel suo percorso musicale troveremo qualcosa di più e forse proprio quel quid che gli ha fatto superare la morte.

Bleach – 1989: è l’album dei toni rabbiosi di Kurt Cobain.

bleach

Kurt è furioso nella prima traccia Blew dove grida il suo senso di claustrofobia in una Aberdeen così stretta e soffocante; il ragazzino antisociale di School, fatto a pezzi da Floyd (the Barber) e rinchiuso nella soffitta di Paper Cuts. Sono brani dominati dalle vibrazioni distorte della sua chitarra; suoni “sporchi”, strutture svuotate e semplici, gli effetti degli anni 80 banditi! Bleach è un Urlo che pervade tutto, un disco acerbo ma che identifica chiaramente il grunge che più che uno stile musicale rappresenta un vero e proprio approccio di natura politica ed esistenziale.

Poi c’è About a girl che Kurt non voleva inserire nell’album perché troppo Pop per Bleach ma il produttore non volle farne a meno e ne aveva tutte le ragioni perché i Nirvana non smisero mai di suonare questo brano live fino alla morte di Cobain. È sicuramente una canzone d’amore… per la sua prima fidanzata Tracy? Per il suo amore per i Beatles? Poco cambia…. Perché in ogni caso ci regala l’intimità di Kurt Cobain, una finestra sulla sua anima che sentiremo di nuovo così profonda e intensa in Unplugged in New York.

Nevermind

Nevermind – 1991: è il simbolo dello stato d’animo di un’intera generazione, ha la forza di riassumere e incarnare le paure e i sentimenti della generazione X che si vede rappresentata dai muscoli di questo album.

Non so davvero da dove cominciare…. forse

Smells like Teen Spirit che è bandiera dei Nirvana.

C’è un pizzico di Riot girls in questo brano ma Cobain voleva celebrare la rivoluzione e adolescenza insita nel punk rock così come in In Bloom dove l’acerba fragilità è in pericolo … infido è il rischio di uniformarsi e di non essere quello che si è, di venir meno al Come as you are, di rinunciare alla verità per essere quello che la società ci chiede di essere.

Kurt veste i panni da donna con occhiali over size e canta la triste cronaca dei personaggi femminili di Polly e Lithium che se la passano peggio semplicemente perché sono donne ed ennesimo oggetto di mercificazione della società e mortificazione dell’animo umano. Cobain canta in Territorial Pissing suonata dal vivo e mantenuta volutamente grezza nel mixing dell’album: “Never met a wise man, if so it’s a woman”.

Poi c’è Dio e quel suo modo di vedere la religione come rifugio contro il suicido ma il suo è un dio diverso … è un Dio gay come urla in Stay Away.

L’album, prima della Ghost track Endless Nameless fatta di grida e sfregamenti di corde più che di parole, si chiude con la triste e malinconica Something in The Way le cui note vibrano sotto il ponte di Aberdeen e Kurt come un animale selvatico si riduce a mangiare anche i pesci “… but it’s okay to eat fish, cause they haven’t any feelings”. In questo brano l’inquietudine è struggente e Kurt si sente come qualcosa “tra le scatole” che da fastidio alla sua famiglia, alla sua città, alla preconfezionata società americana. È uno fuori posto, un alieno come tanti altri che ha il grande merito di aver dato voce ai divergenti e alle loro diversità.

Infine arriva In Utero che mette la parola fine all’ingenuità adolescenziale e disperata. Con In utero non si balla, non si canta…. In Utero si ascolta e ti lascia senza fiato dall’inizio alla fine.

InUtero

In Utero – 1993 rappresenta in un certo senso il testamento spirituale di Kurt. Non è più l’album della rivolta di Smells like Teen Spirit ma è un malinconico pop – punk rock, un parto fallito, l’aborto indotto di Pennyroyal Tea di quel bambino pieno di angosce e fragilità che non verrà mai alla luce.

Cobain tagliuzza i versi delle sue canzoni e le ricompone dandogli nuova vita, creando un decoupage di parole e suoni. In Serve the Servants il messaggio è subito chiaro “Teenage angst has paid off well
now I’m bored and old”, Kurt ha abbandonato l’adolescenza ed è rinchiuso nella scatola a forma di cuore “ Heart-Shaped-Box completamente succube della moglie Courtney Love. Il tema del dolore è il fil rouge di questo album che Kurt fa magistralmente rivivere anche attraverso il brano Scentless Apprentice in omaggio al romanzo ‘Il Profumo’ di Patrick Süskind. Altro accorato canto è quello per l’attrice Francis Farmer in Frances Farmer will have her Revenge on Seattle che al pari della struggente Rape me non è altro che un grido di dolore per le vite stuprate da questa società spietata e disumana.

E se Tourette, Milk it e Very Ape sono come delle scosse epilettiche, nevrotiche, impietose e laceranti, Kurt si fa pura poesia in Dumb:

…My heart is broke
but I have some glue
help me inhale
and mend it with you
we’ll float around
and hang out on clouds
then we’ll come down
and have a hangover – have a hangover

Forse l’amore è l’ultima luce che lo tiene ancora in vita perché come canta all’inizio del brano “I’m not like them, but I can pretend” Kurt non è come gli altri ma sa far finta. Ma per quanto tempo?

Sono tutte scuse All Apologies, con questo brano Kurt dice addio ai suoi affetti, ai fan e alla vita. Non c’è più speranza, non ci sono riposte alle tante domande che affollano la sua mente e l’inizio di questo brano:

What else should I be
all apologies
What else should I say
everyone is gay
What else could I write
I don’t have the right
What else should I be
all apologies.

E’ il suo modo di sentirsi felice veramente, lasciando tutto e tutti per sentirsi un tutt’uno con il sole senza più scuse:

In the sun
in the sun I feel as one
in the sun
I’m married
buried

nirvana-unplugged-600x400

Nel Novembre del 1993, Kurt si mette completamente a nudo con Unplugged In New York e qui l’empatia è di una potenza disarmante. Su quel palco addobbato a funerale, Kurt ha veramente donato tutto se stesso alla musica e a quei milioni di giovani che l’hanno stretto a loro senza più lasciarlo andare.

 

Questo è stato Kurt Cobain almeno per me e molti della mia generazione.

Cobain non fa solo rima con Cocaine come rappano oggi e quando amici musicisti mi chiedono cosa ci trovi di così speciale e irrinunciabile nei Nirvana di Kurt ora so davvero cosa rispondere:

Kurt ci ha dato la possibilità di essere imperfetti e comunque di essere amati. In un’epoca dove tutto deve essere impeccabile, esteticamente bello, eticamente e politicamente corretto, Cobain ci ha dato la possibilità di essere quello che siamo… noi stessi, senza maschere, senza forzature … semplici uomini che sbagliano, che cedono alle tentazioni, che commettono peccati.

L’imperfezione umana è celebrata ed è quella che rende veri: donne e uomini di qualsiasi orientamento politico e sessuale. I Nirvana sono un inno alla libertà e alla verità che è l’arma più potente che ognuno di noi ha a disposizione … così potente a volte da essere distruttiva ma che al tempo stesso è l’unica davvero in grado di renderci completamente liberi dal dolore e forse davvero immortali.

download (1)

 

 

 

Il radical rock dei The Last Internationale

L’estate musicale italiana è davvero infuocata quest’anno e ad aprire i Pearl Jam agli I-days2018 di Milano ci saranno anche The last Internationale.

La band newyorkese fondata dal chitarrista Edgey Perez e dalla voce e basso Delila Paz vanta un batterista di eccezione Brad Wilk ex RATM.

Il loro rock è davvero alternativo e potente nel suono e nelle parole. Attivisti politici protestano suonando e rispolverando l’energia e la voglia di rivoluzione del 68. Finalmente qualcuno che ha davvero qualche cosa da dire! Non hanno paura di anteporre la loro voglia di cambiamento al loro talento che è notevole e fatto di un sound molto genuino e muscolare.

Denunciano l’abuso di potere, l’oppressione, la condizione dei lavoratori e predicano la vera Libertà.

Il loro primo album We will Reign del 2014 “usa” un’etichetta discografica della Sony per veicolare il loro messaggio su larga scala per poi recuperare la sua Indipendenza.

Edgey fa scorrere le dita impazzite sulla sua chitarra, Delila assolutamente potente, sexy e poetica.

Vivono di vibrazioni e improvvisazione sul palco e questo li rende estremamente interessanti e connessi con il pubblico.

TLI sono dei sognatori e nel loro brano forse più passato alla radio “Life, Liberty and the Pursuit of Indian Blood” ripongono la loro fiducia nei giovani: “Wake up love/I want some action/Unlock the children/They’ll make it happen”. Così canteranno questo fine settimana al popolo rock di Milano e al mondo intero la loro voglia di cambiamento e di libertà!

Non ci resta che aspettare il loro radical rock live!