NO SUNRISE NO SUNSET

L’eterna attesa di Yai Sa

A piedi nudi sul bordo del mondo, l’anziana Yai Sa è in attesa del suo unico e grande amore, partito per il suo ultimo viaggio in cerca della verità con la promessa di tornare da lei quando l’avrà finalmente trovata. Questo è il racconto del premiato lavoro architettonico dello studio thailandese Wallasia (www.walllasia.com), una collaborazione tra l’artista Kamin Lertchaiprasert e l’architetto Suriya  Umpansiriratana premiato alla biennale Thailandese di Krabi 2018. L’architettura qui va oltre la semplice esigenza di sopravvivenza e si fa portavoce del sentimento umano più forte: l’amore.

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L’opera intitolata No Sunrise No Sunset Pavilion è appunto un Padiglione minimalista e contemporaneo con una struttura in acciaio e completamente specchiata. L’installazione è accessibile a tutti i visitatori senza alcuna limitazione ed è arroccata su un’insenatura rocciosa, in una zona tranquilla e poco frequentata lungo la spiaggia di Ao Nang Beach, nella provincia di Krabi.

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Sulle facciate dell’installazione si riflette il suggestivo ambiente circostante: il mare che guarda verso le Andamane, la foresta, gli alberi, le rocce e il cielo: una fusione completa con lo spazio e l’ambiente circostante.

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L’interno è ispirato alle grotte preistoriche di Krabi e alle pitture rupestri che richiamano le attività originarie dell’uomo, al centro la statua di Yai Sa, l’anziana donna che ogni giorno si pone nello stesso punto in attesa del suo amore. Qui il tempo si ferma, l’amore è in continua attesa perché chi ama lo fa per sempre. Lui è in cerca della verità ultima, ma dove si trova? Che cos’è? È forse già dentro di lui? Una cosa è certa finché lui non avrà trovato sé stesso non si potrà fondere con Yai Sa.

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Il mondo reale e il mondo dell’illusione sembrano incontrarsi qui, l’esterno (oggettivo) e l’interno (soggettivo) sono in connessione, Yai Sa è sempre presente ogni giorno e rinuncia a sé stessa nella speranza di unirsi prima o poi al suo amato.

Il sole è fermo, non si alza e non tramonta nel cielo – No Sunrise, No Sunset; è la terra che gira e prende la forma di quel che noi vogliamo vedere. Quando saremo in grado di vedere il mondo così come è veramente, allora riusciremo a vederne la sua bellezza e la verità della sua natura.

Lertchaiprasert e Umpansiriratana, mossi da questa aspirazione, hanno creato un luogo di pace e tranquillità, dove potersi unire con la bellezza della natura e con sé stessi. La “grotta” di No Sunset No Rise è il luogo ideale dove mettersi in attesa, guardando con occhi nuovi la vita, animati dalla speranza che il grande amore raggiunga quel posto sospeso nel tempo e nello spazio e finalmente- nel ritrovare se stesso -si possa fondere con l’altro per sempre.

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Perchè Kurt Cobain non morirà mai?

 

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Ve ne siete accorti che nonostante il passare degli anni è sempre più vivo che mai? Ma perché? Me lo sono chiesta molte volte e trovo sempre una spiegazione diversa che non mi accontenta del tutto. Rocker maledetto, club dei 27, morte suicida, Courtney e il presunto omicidio … a dir la verità vorrei lasciare da parte tutti questi aspetti e cercare una nuova strada che dia più spazio alla sua musica, ai suoi testi senza troppe radiografie e al suo modo di vivere e vedere la vita. Non sarà proprio una strada dritta e semplice, sarà facile smarrirsi o fermarsi in vicoli ciechi ma sono una di quelle persone che crede valga la pena perdersi ogni tanto.

Kurt Cobain, anima dei Nirvana si è ucciso ormai da 25 anni eppure è sempre presente con la sua storia, con la sua musica e con tutto quello che ha rappresentato per una generazione come la mia. Ma la sua musica è andata oltre e ha ispirato anche le generazioni successive, quelle che non l’hanno mai incontrato ma che ne hanno percepito il suo potere e ne sono rimasti stregati.

Ho letto parte dei suoi diari “Journals” edito da Mondadori ma non sono arrivata in fondo: troppa sofferenza per la sottoscritta e continuare la lettura mi dava come l’impressione di fargli male un’altra volta. Una vita consumata e svuotata come quella di centinaia di altri giovani delle periferie di Seattle ma la sua fragilità messa in musica e parole lo hanno reso un’icona intramontabile del rock e forse più semplicemente un portatore di verità. Pensandoci bene credo di aver sbagliato a fermarmi a metà dei suoi pensieri, forse merita di essere ascoltato fino in fondo, anche quando inizia a fare male, a stare scomodo e a vomitare in faccia la realtà di ieri che non è altro che una profezia inclemente del nostro presente.

Quindi voglio dare ascolto al suo incipit: “Non leggere il mio diario quando non ci sono. OK, adesso vado a lavorare. Quando ti svegli stamattina, leggi pure il mio diario. Fruga tra le mie cose e scopri come sono fatto”.

Questo aspetto lo rende probabilmente immortale: la sua capacità unica di dire la verità, nuda e cruda, senza fronzoli, senza abbellimenti e mezze misure. Fa male la sua malinconia, la sua rabbia, la sua disperazione e peggio la sua apatia ma è senza dubbio una testimonianza di verità che alla fine libera e rende liberi.

Senza pretese alcune di critica musicale, vi invito a fare un breve viaggio nella sua musica da semplici fan dei Nirvana; nel suo percorso musicale troveremo qualcosa di più e forse proprio quel quid che gli ha fatto superare la morte.

Bleach – 1989: è l’album dei toni rabbiosi di Kurt Cobain.

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Kurt è furioso nella prima traccia Blew dove grida il suo senso di claustrofobia in una Aberdeen così stretta e soffocante; il ragazzino antisociale di School, fatto a pezzi da Floyd (the Barber) e rinchiuso nella soffitta di Paper Cuts. Sono brani dominati dalle vibrazioni distorte della sua chitarra; suoni “sporchi”, strutture svuotate e semplici, gli effetti degli anni 80 banditi! Bleach è un Urlo che pervade tutto, un disco acerbo ma che identifica chiaramente il grunge che più che uno stile musicale rappresenta un vero e proprio approccio di natura politica ed esistenziale.

Poi c’è About a girl che Kurt non voleva inserire nell’album perché troppo Pop per Bleach ma il produttore non volle farne a meno e ne aveva tutte le ragioni perché i Nirvana non smisero mai di suonare questo brano live fino alla morte di Cobain. È sicuramente una canzone d’amore… per la sua prima fidanzata Tracy? Per il suo amore per i Beatles? Poco cambia…. Perché in ogni caso ci regala l’intimità di Kurt Cobain, una finestra sulla sua anima che sentiremo di nuovo così profonda e intensa in Unplugged in New York.

Nevermind

Nevermind – 1991: è il simbolo dello stato d’animo di un’intera generazione, ha la forza di riassumere e incarnare le paure e i sentimenti della generazione X che si vede rappresentata dai muscoli di questo album.

Non so davvero da dove cominciare…. forse

Smells like Teen Spirit che è bandiera dei Nirvana.

C’è un pizzico di Riot girls in questo brano ma Cobain voleva celebrare la rivoluzione e adolescenza insita nel punk rock così come in In Bloom dove l’acerba fragilità è in pericolo … infido è il rischio di uniformarsi e di non essere quello che si è, di venir meno al Come as you are, di rinunciare alla verità per essere quello che la società ci chiede di essere.

Kurt veste i panni da donna con occhiali over size e canta la triste cronaca dei personaggi femminili di Polly e Lithium che se la passano peggio semplicemente perché sono donne ed ennesimo oggetto di mercificazione della società e mortificazione dell’animo umano. Cobain canta in Territorial Pissing suonata dal vivo e mantenuta volutamente grezza nel mixing dell’album: “Never met a wise man, if so it’s a woman”.

Poi c’è Dio e quel suo modo di vedere la religione come rifugio contro il suicido ma il suo è un dio diverso … è un Dio gay come urla in Stay Away.

L’album, prima della Ghost track Endless Nameless fatta di grida e sfregamenti di corde più che di parole, si chiude con la triste e malinconica Something in The Way le cui note vibrano sotto il ponte di Aberdeen e Kurt come un animale selvatico si riduce a mangiare anche i pesci “… but it’s okay to eat fish, cause they haven’t any feelings”. In questo brano l’inquietudine è struggente e Kurt si sente come qualcosa “tra le scatole” che da fastidio alla sua famiglia, alla sua città, alla preconfezionata società americana. È uno fuori posto, un alieno come tanti altri che ha il grande merito di aver dato voce ai divergenti e alle loro diversità.

Infine arriva In Utero che mette la parola fine all’ingenuità adolescenziale e disperata. Con In utero non si balla, non si canta…. In Utero si ascolta e ti lascia senza fiato dall’inizio alla fine.

InUtero

In Utero – 1993 rappresenta in un certo senso il testamento spirituale di Kurt. Non è più l’album della rivolta di Smells like Teen Spirit ma è un malinconico pop – punk rock, un parto fallito, l’aborto indotto di Pennyroyal Tea di quel bambino pieno di angosce e fragilità che non verrà mai alla luce.

Cobain tagliuzza i versi delle sue canzoni e le ricompone dandogli nuova vita, creando un decoupage di parole e suoni. In Serve the Servants il messaggio è subito chiaro “Teenage angst has paid off well
now I’m bored and old”, Kurt ha abbandonato l’adolescenza ed è rinchiuso nella scatola a forma di cuore “ Heart-Shaped-Box completamente succube della moglie Courtney Love. Il tema del dolore è il fil rouge di questo album che Kurt fa magistralmente rivivere anche attraverso il brano Scentless Apprentice in omaggio al romanzo ‘Il Profumo’ di Patrick Süskind. Altro accorato canto è quello per l’attrice Francis Farmer in Frances Farmer will have her Revenge on Seattle che al pari della struggente Rape me non è altro che un grido di dolore per le vite stuprate da questa società spietata e disumana.

E se Tourette, Milk it e Very Ape sono come delle scosse epilettiche, nevrotiche, impietose e laceranti, Kurt si fa pura poesia in Dumb:

…My heart is broke
but I have some glue
help me inhale
and mend it with you
we’ll float around
and hang out on clouds
then we’ll come down
and have a hangover – have a hangover

Forse l’amore è l’ultima luce che lo tiene ancora in vita perché come canta all’inizio del brano “I’m not like them, but I can pretend” Kurt non è come gli altri ma sa far finta. Ma per quanto tempo?

Sono tutte scuse All Apologies, con questo brano Kurt dice addio ai suoi affetti, ai fan e alla vita. Non c’è più speranza, non ci sono riposte alle tante domande che affollano la sua mente e l’inizio di questo brano:

What else should I be
all apologies
What else should I say
everyone is gay
What else could I write
I don’t have the right
What else should I be
all apologies.

E’ il suo modo di sentirsi felice veramente, lasciando tutto e tutti per sentirsi un tutt’uno con il sole senza più scuse:

In the sun
in the sun I feel as one
in the sun
I’m married
buried

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Nel Novembre del 1993, Kurt si mette completamente a nudo con Unplugged In New York e qui l’empatia è di una potenza disarmante. Su quel palco addobbato a funerale, Kurt ha veramente donato tutto se stesso alla musica e a quei milioni di giovani che l’hanno stretto a loro senza più lasciarlo andare.

 

Questo è stato Kurt Cobain almeno per me e molti della mia generazione.

Cobain non fa solo rima con Cocaine come rappano oggi e quando amici musicisti mi chiedono cosa ci trovi di così speciale e irrinunciabile nei Nirvana di Kurt ora so davvero cosa rispondere:

Kurt ci ha dato la possibilità di essere imperfetti e comunque di essere amati. In un’epoca dove tutto deve essere impeccabile, esteticamente bello, eticamente e politicamente corretto, Cobain ci ha dato la possibilità di essere quello che siamo… noi stessi, senza maschere, senza forzature … semplici uomini che sbagliano, che cedono alle tentazioni, che commettono peccati.

L’imperfezione umana è celebrata ed è quella che rende veri: donne e uomini di qualsiasi orientamento politico e sessuale. I Nirvana sono un inno alla libertà e alla verità che è l’arma più potente che ognuno di noi ha a disposizione … così potente a volte da essere distruttiva ma che al tempo stesso è l’unica davvero in grado di renderci completamente liberi dal dolore e forse davvero immortali.

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La casa intorno all’Albero: Sogni d’Infanzia

Ricordo ancora le scenate di mia sorella che implorava mio padre e voleva a tutti costi la casetta sull’albero.

È il sogno di tanti bambini e forse anche di parecchi adulti: allontanarsi da tutto e da tutti, dagli occhi vigili dei genitori e dalla società che ti mette in fila e ti obbliga a percorrere assordanti strade predefinite nei tempi prescritti.

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Forse l’architetto kazako Aibek Almasov e i suoi colleghi dello studio Masow Architects hanno cercato ispirazione nei giardini d’infanzia quando hanno deciso di progettare “Tree in the house”, la casa intorno all’albero che verrà realizzata ad Almaty entro il 2017 (http://amasow.com/).

Un cilindro vitreo di 12 metri che si sviluppa intorno ad un abete secolare. Un mix tra tradizione e modernità che per una volta tanto si fa abbracciare dalla natura e non si fa spazio in maniera prepotente e distruttiva.

La trasparenza del vetro permette all’albero di ri555555cevere la luce del sole e di continuare a crescere, tutto è studiato per essere eco-friendly e la casa è completamente autosufficiente pur trovandosi in mezzo alla foresta.

Pietra e legno locale integrano dolcemente la struttura nell’ambiente circostante e la sua forma cilindrica ne permette una vista a 360°.

Un lusso destinato ad un ricco committente ma che ispira i nostri sogni e ci fa viaggiare con la mente: tiepide giornate in mezzo here+comes+the+sunalla natura che ci ‘parla’ in un modo che abbiamo dimenticato da tempo, nevosi inverni tra chiacchiere e risate con gli amici intorno ad un tavolo in festa, luminose mattine immersi in letture senza fine e per i più fortunati caldi tramonti abbracciati al compagno di una vita.

Se qualcuno si è posto il problema della privacy rimanga tranquillamente in città, non c’è posto per le preoccupazioni nella casa intorno all’albero… è una casa da sogno, no?

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